Al via i festeggiamenti per il Bicentenario di Don Bosco: soffermiamoci a riflettere
Nell’atmosfera accogliente del cortile della Casa Madre di Valdocco e nella Basilica di Maria Ausiliatrice di Torino, il Rettor Maggiore, Don Angel Fernandez Artime presiede la celebrazione eucaristica per l’inizio dei festeggiamenti del Bicentenario di Don Bosco. Con lui la famiglia salesiana, gli ispettori di tutta Italia, guidati dal consigliere per il Mediterraneo, don Stefano Martoglio, la Madre Superiora delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Madre Yvonne Reungoat, il Consiglio Generale della Congregazione e dei Cooperatori, gli ex allievi e i volontari di Don Bosco venuti qui a celebrare Don Bosco, “l’uomo capace di vedere l’invisibile e di agire nel suo tempo con grande modernità” – ha detto il Rettor Maggiore nel suo saluto iniziale.
Nel contesto solenne ma festoso di una grande famiglia che cresce, si celebra la straordinaria eredità spirituale di uno dei più grandi educatori di tutti i tempi, di un prete profondamente uomo e profondamene santo da cui traspare un fascino “unico e irrepetibile”, grazie alla sua grande audacia creativa e al coraggio innovativo di un approccio educativo “congeniale, amichevole, integrale all’educazione”. Un progetto d’amore che dura da 200 anni, “un carisma – ha scritto il Rettor Maggiore nella Strenna di quest’anno 2015 – a servizio della comunione evagelizzatrice”, e che nasce dalla passione e dalle intuizioni lungimiranti di colui che ha fatto dei giovani una scelta di vita.
E’ un grazie corale per quel monumento vivente di riconoscenza a Maria che è la famiglia salesiana. Lei che è all’origine della vocazione e della missione di don Bosco, continua a guidare e assistere, con materna cura, la congregazione e i giovani “di tutto il mondo, che hanno ancora bisogno di noi, – ha detto il Rettor Maggiore – (di noi) che siamo gli eredi di un grande uomo, vero figlio del suo tempo e tessitore della storia. Un uomo straordinario ma umile che ha dato origine a un vasto movimento di persone sempre in cammino ancora oggi, da questa periferia di Torino alle diverse periferie esistenziali e geografiche del mondo”.
E’ nelle piccole e allora sconosciute periferie della Torino del XIX secolo che ha avuto inizio una storia d’amore infinita tra “un piemontese universale” – come l’ha definito il Rettor Maggiore e i giovani di tutto il mondo.
Torino è la culla di un progetto umanizzante che varca i piccoli confini e si espande nel tempo e negli spazi geografici che si arricchiscono sempre più di nuovi particolari e di nuovi significati in ambito educativo.
Torino rappresenta l’inizio di un accompagnamento che si fonda sulla fiducia e sull’amore che scaccia ogni paura e che fa leva sul bisogno dei giovani di scoprire il segreto della propria autorealizzazione per dare forma a quel profondo anelito di libertà, di verità, di bontà e bellezza che alberga nei loro cuori.
Duecento anni di quell’amorevolezza tutta salesiana che guarda ai giovani con gli occhi stessi di Dio, fatta d’incontri, di dialogo, di accoglienza, di manifestazione vibrante della misericordia di Dio, di affabilità e sollecitudine che incoraggia a superare le difficoltà del cammino per vivere in pienezza le proprie responsabilità.
Duecento anni di un progetto educativo centrato sull’integrità, l’individualità e i diritti del giovane e che non può prescindere dai rapporti sociali e culturali che sono alla base di un processo di crescita e maturazione personale, al fine di raggiungere il massimo delle proprie potenzialità e la capacità di dono.
“Oggi ci troviamo di fronte al duplice rischio di non riuscire a dare alle nuove generazioni un mondo in cui trovare spazio e in cui sentirsi al proprio posto” e l’amorevolezza salesiana aiuta il giovane a “diventare se stesso” nell’incontro con gli altri.
Un’eredità spirituale quella di Don Bosco, che non ci lascia tranquilli, ma ci urge dentro, consapevoli che “le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo”. Una fiamma che il grande tedoforo, don Bosco ha acceso per primo nelle grandi olimpiadi della nostra storia salesiana e che noi “eredi con una grande responsabilità sulle spalle”, dobbiamo sempre alimentare con l’olio della preghiera e delle buone opere.
Duecento anni intrecciati attraverso i fili dell’audacia e della lungimiranza di “un uomo straordinario ma umile, tessitore della storia”. Un disegno divino scritto nella storia di ciascuno giovane e incarnato nel solco di una ferialità a volte densa di sfide e problematiche ma dove è possibile far emergere il positivo e imparare a riconoscere il bello della vita per saperlo cogliere fino in fondo. Duecento anni intessuti di santità spicciola, di fedeltà al dovere, d’impegno nel sociale che formano e regalano alla società di ogni tempo, “onesti cittadini e buoni cristiani”.
Duecento anni di un sistema preventivo fondato sulla grande certezza che “l’educazione è opera solo di cuore”, ed è il frutto di un cuore che ama come Dio, che rispetta i tempi di crescita personale, che sa attendere, custodire e conoscere in profondità l’altro, in un atteggiamento costante di servizio e di carità preveniente.
Duecento anni di cammino fraterno e solidale, di accompagnamento premuroso e preveniente, a fianco dei più giovani per aiutarli “a scoprire negli accadimenti di ogni giorno, la possibilità di una vita vera, (…) a trovare in essi la strada della loro piena realizzazione personale”.
Duecento anni in cui i giovani di ogni epoca e di ogni realtà geografica scoprono ogni giorno il valore della propria vita, la bellezza inestimabile della propria dignità e nelle pieghe del proprio cuore attingono il coraggio di opporsi alle ideologie di sfruttamento, che riducono l’uomo ad oggetto. Perché “i giovani – ha detto monsignor Cesare Nosiglia, l’arcivescovo di Torino – non sono oggetto ma soggetto”, e l’attualità del carisma salesiano – ha precisato Piero Fassino – il sindaco di Torino – è la centralità del giovane, il renderlo protagonista di un cammino di educazione nel quale nessuno è lasciato solo”. E “l’insegnamento di don Bosco – ha aggiunto Chiamparino, il presidente della Regione – è denso di attualità perché, giovani, educazione e formazione sono le tre parole dell’Italia di oggi e di domani che si possono sintetizzare in un solo futuro e noi faremo di tutto per essere all’altezza”.
Duecento anni di storia salesiana che segnano il cammino di coloro che accogliendo il messaggio di don Bosco sono pronti a uscire dai labirinti di un materialismo cieco e svilente per fare onore all’”umanesimo che Don Bosco ha imparato da San Francesco di Sales”, per dire con la propria vita che puntare in alto, pretendere quel futuro migliore che tutti speriamo è credere fermamente nell’assoluta trascendenza e nell’attualità del Vangelo e del nostro carisma, proclamare a tutti che cambiare il mondo non è un’utopia, ma una verità indiscutibile, un progetto di vita per il quale vale la pena impegnarsi.
Duecento anni di storia salesiana non per “incensare Don Bosco” – ha sottolineato don Artime “ma (per) rianimare il nostro cuore salesiano”, per rinnovare la nostra consacrazione “ai giovani delle periferie geografiche ed esistenziali del mondo intero”.
Siamo figli di un sognatore – aveva detto il Rettor Maggiore in un’altra occasione – e nel bicentenario della nascita, don Bosco così ci esorta: “sognate, sognate ancora!
Sognate con gli occhi del cuore che sono capaci di vedere per primi, di riconoscere la Presenza di Dio anche nel suo parlare in modo misterioso, a volte per vie non razionali … e sperate sempre, sperate di quella speranza che si faccia operosità, per realizzare le cose grandi che il Signore vuole realizzare attraverso di voi!