Verso la 48^ Settimana Sociale…Il Lavoro che vogliamo: nuovi scenari per il lavoro e la cura. Incontro e confronto con Jennifer Nedelsky.
Nel pomeriggio un po’ capriccioso di questo 4 aprile, all’Angelicum, nel centro geografico e culturale di Roma abbiamo ascoltato Jennifer Nedelsky, una delle voci più innovative nel dibattito sui temi della cura, dei diritti e delle relazioni sociali. La sua proposta rappresenta un profondo ripensamento del rapporto tra lavoro e cura, e quindi tra uomini e donne, giovani e anziani, ricchi e poveri.
Se le innovazioni tecnologiche lasciano presagire che presto non ci sarà abbastanza lavoro per tutti, dal momento che sempre più la tecnologia è in grado di sostituire il lavoro umano…come ci stiamo attrezzando allora di fronte a questa?
Esistono modi per riconciliare il senso profondo del lavoro come attività umana e l’avere abbastanza posti di lavoro per tutti? Il modello sarà quello di un terzo della popolazione mondiale che lavora per tutti? A queste domande importanti, ma che restano molto sullo sfondo delle nostre democrazie la proposta della filosofa tenta una risposta.
“Ogni persona dovrebbe poter donare tempo per la cura di se stessi e degli altri”. “Nessuno dovrebbe lavorare per più di trenta ore alla settimana” – sostiene – e “nessun adulto dovrebbe fare meno di 12 ore di cura la settimana.
Tutti devono donare cura, e nessuno deve stare a casa disoccupato, e tutti devono avere un lavoro pagato, che anche se lavoro part time deve significare ‘buon’ lavoro”. L’espressione “part time” – conclude – “non deve essere intesa come la si intende oggi, ma come un nuovo modo di vivere il lavoro, un nuovo ‘lavoro full time’ per tutti, insieme alla cura”.
Quindi nel progetto di società di Jennifer Nedelsky tutti dobbiamo sentire la responsabilità degli altri, ma questo non è possibile se si lavora 9, 10 o più ore, se continuiamo a pensare che ci sono lavori troppo importanti per poter occuparsi anche del prendersi cura dell’altro, se non attiviamo dinamiche di approvazione e disapprovazioni sociali per innescare dal basso un cambiamento in tal senso.
Ma per un cambiamento simile c’è bisogno di una politica che sa immaginare un futuro diverso e politici che sanno porre scelte coerenti che gradualmente lo realizzano. Infatti, meno citato e meno commentato nella letteratura esistente è proprio il divario tra politica e cura. Questo significa che coloro che sono in posizione di rilievo al governo o a livello dirigenziale sono in genere persone che hanno pochissima esperienza per quanto riguarda i bisogni, le soddisfazioni o l’importanza del ruolo di chi si occupa del lavoro di cura.
E quindi i decisori politici sono ignoranti, nel senso etimologico del termine, di una dimensione chiara della vita umana che li rende per questo inabili, inadatti a questo lavoro. Coloro che hanno invece questo requisito, purtroppo, hanno ancora un accesso limitato a livello politico, pertanto il cambiamento desiderato e proposto farà più fatica a realizzarsi.
Come una perla di semplicità lancia con fine umorismo questa domanda: “Se non hanno, infatti, mai pulito un bagno o non sono mai passati attraverso questo tipo di esperienze di assistenza e di lavoro di cura come possono legiferare a riguardo?”
Forse siamo un po’ tutti sfiniti per il ritmo di vita e di lavoro per protestare, per pensarci in cambiamento…ma l’innovazione, il cambiamento è trattare l’impossibile come se fosse possibile. È cambiare quelle cose che generano approvazione o disapprovazione tra i colleghi, gli amici , i vicini e la società più in generale.
Allora un grazie a chi come Sr Alessandra Smerilli, Luigino Bruni e i loro colleghi del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali orchestrano momenti come questi di grande spinta in avanti, perché già parlarne, amplificare la conversazione crea una cultura differente rispetto a temi così importanti.
Palma Lionetti