Meditiamo con le parole di Papa Francesco
Si è appena concluso «il viaggio radicale di un Papa radicale» come l’ha definito, Jean-Marie Guénois nel suo commento pubblicato sul quotidiano francese «Le Figaro» del 13 luglio.
Un pontefice che al di là dell’incarico istituzionale, ha saputo stabilire un contatto diretto e personale con la gente attraverso gesti concreti di vicinanza fisica, di solidarietà e reciproca amicizia. E la folla, tra sorrisi e lacrime di commozione, e soprattutto con un fare cordiale, genuino ed espansivo, ha ricambiato l’affetto del Pontefice con tutto l’entusiasmo e il calore di cui è capace questo grande popolo.
Un qualcosa di grande, unico e irrepetibile, alimentato dal desiderio di portare un abbraccio totale e affettuoso al Santo Padre che è venuto a visitarli, a condividere tutto, gioie e dolori, fatiche e speranze. Per stringersi, come figli devoti attorno a un “Papa di famiglia, un Papa vicino, un Papa che parla in modo spontaneo, in modo semplice, in modo concreto” – come ha sottolineato Padre Federico Lombardi. Un Papa venuto nelle vesti di, “testimone della misericordia di Dio e della fede in Gesù Cristo”.
Paraguay, Bolivia, Ecuador: tre Paesi che fanno parte delle periferie emergenti dell’America Latina, dove le differenze sociali pesano, dove gli slums nelle città raccontano storie di miseria e ben poca speranza. Papa Francesco conosce bene queste contraddizioni. Ed è venuto per lanciare un messaggio di speranza a tutto il resto del continente, per confermare tanti fratelli nella fede, per mostrare vicinanza con i più poveri, solidarietà con i più deboli e svantaggiati, e infine per richiamare i potenti affinché nessuno venga scartato o emarginato, ma abbia sempre la garanzia di un sistema di libertà e di giustizia sociale fondato sul rispetto dei diritti umani. Paesi in fermento, caratterizzati da un certo dinamismo politico e sociale che cercano di trovare la via del ‘vero sviluppo’ ispirato alla fede cristiana che promuova una politica di comunicazione attraverso una vita partecipativa interamente a servizio della giustizia, e in grado di “liberare l’uomo dal gioco dello sfruttamento economico e dalla schiavitù sociale”.
E il papa nei suoi discorsi ha sottolineato alcuni elementi fondamentali che occorre rispettare se vogliamo incrementare il dialogo che si fonda sulla comunione fraterna e sulla partecipazione senza esclusioni. Occorre costruire l’armonia nelle diversità, perché siamo “tutti fratelli nella differenza”, e le differenze – ha ci ha ricordato ancora una volta il Papa – sono tutte buone e legittime e servono a costruire il bene comune.
Questi alcuni dei passaggi dei discorsi del Santo Padre in Sud America e che desideriamo offrirvi come spunti di meditazione.
Tornare alla radicalità e semplicità del Vangelo attraverso gesti di misericordia e di gioia: è qui che possiamo trovare «le chiavi che ci permettono di affrontare le sfide attuali». Condividere la gioia di evangelizzare «riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù», soprattutto degli ultimi che, secondo “la logica delle periferie”, sono oggetto di predilezione.
Difesa del debole e del povero contro il consumismo che genera il male della corruzione: il Papa si appella alla nostra “capacità di difendere il piccolo e il semplice”, di aver cura dei bambini e degli anziani, “che sono la memoria del popolo”, di aver fiducia nella gioventù e di mostrare vicinanza con gli ultimi della terra. I poveri, infatti, «hanno molto da insegnarci in umanità, in bontà, in sacrificio e solidarietà. E noi cristiani abbiamo inoltre un motivo in più per amare e servire i poveri: in loro vediamo il volto e la carne di Cristo».
«Vi chiedo di non cedere ad un modello economico idolatrico che abbia bisogno di sacrificare vite umane sull’altare del denaro e del profitto. Nell’economia, nell’azienda, nella politica, – ha ribadito ancora il Papa – la prima cosa è sempre la persona e l’ambiente in cui vive”.
L’amore per i poveri testimonia che “un altro modello di sviluppo è possibile”, che i tempi sono maturi per un cambiamento e che le occasioni sono propizie per ribaltare le sorti di una realtà sociale dove «i contadini sono senza terra, le famiglie senza casa, i lavoratori senza diritti». Dove tante persone sono ferite nella loro dignità, dove i bambini vengono sfruttati e sono ancora oggi vittime di “guerre insensate e violenze fratricide”.
Economia dell’Inclusione e non dello scarto: «In ciascuna delle nostre famiglie e nella famiglia comune che formiamo tutti, nulla si scarta, niente è inutile. Da qui, la necessità di lottare per l’inclusione a tutti i livelli, evitando egoismi, promuovendo la comunicazione e il dialogo, incentivando la collaborazione. «Bisogna affidare il cuore al compagno di strada senza sospetti, senza diffidenze … Affidarsi all’altro è qualcosa di artigianale, la pace è artigianale. … E’ impensabile che risplenda l’unità se la mondanità spirituale ci fa stare in guerra tra di noi, alla sterile ricerca di potere, prestigio, piacere o sicurezza economica. “Terra, casa e lavoro per tutti sono diritti sacri. Vale la pena di lottare per essi. Che il grido degli esclusi si oda in America Latina e in tutta la terra” ha detto il Papa all’incontro mondiale dei Movimenti popolari, in Bolivia, dove ha parlato della destinazione universale dei beni e ha chiesto perdono per i crimini contro le popolazioni indigene durante la “conquista”. Il futuro dell’umanità, ha detto è nelle mani dei popoli . (…) «Rimanere in piedi con dignità è la virtù dei forti che non si piegano mai di fronte alle difficoltà».
Famiglia in quanto ricchezza della società: la famiglia – ha ricordato il Papa – è «la prima scuola dei bambini, il punto di riferimento imprescindibile per i giovani, e il miglior asilo per gli anziani. Una ricchezza sociale insostituibile che deve essere “aiutata e potenziata”. Il luogo di tenerezza e misericordia, dove “la fede si mescola al latte materno” e dove i figli sperimentano l’amore di Dio grazie all’amore dei genitori. «Hanno gustato il miglior vino. E questa è la buona notizia: il miglior vino, le cose più belle e più profonde per la famiglia sta per venire. E ognuno dica nel proprio cuore: il miglior vino sta per venire. Sta per venire il tempo in cui gusteremo l’amore quotidiano verso coloro che amiamo e che fanno parte della nostra famiglia e soprattutto verso i più piccoli e gli anziani. Il vino migliore sta per venire per ogni persona che accetta il rischio di amare. E sussurratelo ai disperati e a quelli con poco amore: abbiate pazienza, abbiate speranza, fate come Maria, pregate, agite, aprite il cuore, perché il migliore dei vini sta per venire. Dio si avvicina sempre alle periferie di coloro che sono rimasti senza vino, di quelli che hanno da bere solo lo scoraggiamento; Gesù ha una preferenza per versare il migliore dei vini a quelli che per una ragione o per l’altra ormai sentono di avere rotto tutte le anfore».
Accoglienza e ospitabilità: «Il cristiano è colui che ha imparato ad ospitare, ad accogliere, passare dalla logica dell’egoismo, della chiusura, dello scontro, della divisione, della superiorità, alla logica della vita, della gratuità, dell’amore. Dalla logica del dominio, dell’oppressione, della manipolazione, alla logica dell’accogliere, del ricevere, del prendersi cura. Non si evangelizza con le strategie ma con l’accoglienza. La Chiesa è la madre dal cuore aperto che sa accogliere, ricevere, specialmente chi ha bisogno di maggiore cura, chi è in maggiore difficoltà. La Chiesa è la casa dell’ospitalità. Quante ferite, quanta disperazione si può curare in una dimora dove uno possa sentirsi accolto (….) Ospitalità con l’affamato, con lo straniero, con il nudo, con il malato, con il prigioniero, con il lebbroso, con il paralitico. Ospitalità con chi non la pensa come noi, con chi non ha fede o l’ha perduta e qualche volta per colpa nostra. Ospitalità con il perseguitato, con il disoccupato. Ospitalità con le culture diverse, di cui questa terra è così ricca. Ospitalità con il peccatore, perché tutti lo siamo. La Chiesa è madre che accoglie, La Chiesa è casa di tutti».
Unità: «Mentre nel mondo, specialmente in alcuni Paesi, riappaiono diverse forme di guerre e scontri, noi cristiani insistiamo nella proposta di riconoscere l’altro, di sanare le ferite, di costruire ponti, stringere relazioni e aiutarci a portare i pesi gli uni degli altri. L’anelito all’unità suppone la dolce e confortante gioia di evangelizzare, la convinzione di avere un bene immenso da comunicare, e che, comunicandolo, si radica; e qualsiasi persona che abbia vissuto questa esperienza acquisisce una sensibilità più elevata nei confronti delle necessità altrui. Questa unità è già un’azione missionaria “perché il mondo creda».
«Aiutatevi tra di voi. Non abbiate paura di aiutarvi fra di voi. Il demonio cerca la rivalità, la divisione, le fazioni. Non dategli spazio » – ha detto il Papa ai detenuti nel carcere di Palmasola (Bolivia). «Un incontro che sappia riconoscere che la diversità non solo è buona: è necessaria. L’uniformità ci annulla, ci trasforma in automi. Trasformare il conflitto in una unità che non annulla le differenze».
Evangelizzazione: «L’evangelizzazione non consiste nel fare proselitismo – il proselitismo è una caricatura dell’evangelizzazione – ma nell’attrarre con la nostra testimonianza i lontani, nell’avvicinarsi umilmente a quelli che si sentono lontani da Dio e dalla Chiesa, avvicinarsi a quelli che si sentono giudicati e condannati a priori da quelli che si sentono perfetti e puri. Avvicinarci a quelli che hanno paura o agli indifferenti per dire loro: Il Signore chiama anche te ad essere parte del suo popolo e lo fa con grande rispetto e amore. Siate missionari, siate prossimi specialmente dei più giovani e degli anziani, sostegno delle giovani famiglie e di coloro che stanno attraversando momenti di difficoltà».
Testimoni di Misericordia: «Chi c’è davanti a voi? Potreste domandarvi. Vorrei rispondere alla domanda con una certezza della mia vita, con una certezza che mi ha segnato per sempre. Quello che sta davanti a voi è un uomo perdonato. Un uomo che è stato ed è salvato dai suoi molti peccati. Ed è così che mi presento. Non ho molto da darvi o offrirvi, ma quello che ho e quello che amo, sì, voglio darvelo, voglio condividerlo: Gesù Cristo, la misericordia del Padre. I cristiani non sono testimoni di una ideologia, ma della misericordia di Gesù che li rende capaci di avvicinarsi al dolore della gente».
Preghiera: «Come non sognare una Chiesa che rifletta e ripeta l’armonia delle voci e del canto nella vita quotidiana?. La preghiera non è alienazione: siamo noi le mani di Dio che “dall’immondizia rialza il povero” (Sal 112[113],7). La preghiera è riflesso dell’amore che sentiamo per Dio, per gli altri, per il mondo creato».
Fede, solidarietà, sofferenza: «La fede che non si fa solidarietà è morta o bugiarda. La sofferenza ha fatto crescere la solidarietà. La fede ci rende prossimi, ci fa prossimi alla vita degli altri. Ci avvicina alla vita degli altri. La fede suscita il nostro impegno per gli altri, la fede suscita la nostra solidarietà. Se non hai un cuore solidale, se non sai quello che succede al tuo popolo, la tua fede è molto debole o è malata o è morta. È una fede senza Cristo. La fede senza solidarietà è una fede senza Cristo, è una fede senza Dio, è una fede senza fratelli. La fede si è fatta speranza ed è speranza che stimola l’amore. La fede che Gesù suscita è una fede con la capacità di sognare il futuro e di lottare per esso nel presente».
Basta con la spiritualità dello zapping: «Come nelle Sacre Scritture c’è chi passa oltre, anche oggi c’è chi considera “naturale il dolore” e si è assuefatto all’ingiustizia, uomini e donne con “un cuore blindato”, incapaci di provare stupore, che passano e ripassano come in una spiritualità dello zapping. Passare senza ascoltare il dolore della nostra gente, senza radicarci nella loro vita, nella loro terra, è come ascoltare la Parola di Dio senza lasciare che metta radici dentro di noi e sia feconda. Una pianta, una storia senza radici, è una vita arida – ha detto il Papa, incontrando i sacerdoti, i religiosi, i religiose e i seminaristi nella scuola di don Bosco a Santa Cruz in Bolivia. È la tentazione di considerare naturale il dolore, di abituarsi all’ingiustizia. Diciamo a noi stessi: è normale, è sempre stato così. È l’eco che nasce in un cuore blindato, chiuso, che ha perso la capacità di stupirsi e quindi la possibilità di cambiare. Un cuore che si è abituato a passare senza lasciarsi toccare; un’esistenza che, passando da una parte all’altra, non riesce a radicarsi nella vita del suo popolo.
Non esiste una compassione che non si fermi, non ascolti e non solidarizzi con l’altro. La compassione non è zapping, non è silenziare il dolore, al contrario, è la logica propria dell’amore. Non siamo testimoni di un’ideologia, di una ricetta, di un modo di fare teologia – ha ammonito il Papa – esortando a passare dall’indifferenza dello zapping al “Coraggio! Alzati, il Maestro ti chiama!”. Non perché siamo speciali, non perché siamo migliori, non perché siamo funzionari di Dio, ma solo perché siamo testimoni grati della misericordia che ci trasforma».