Bartolomeo Garelli, la profezia di un incontro
L’esperienza c’insegna che dietro le più grandi opere c’è sempre un inizio fatto di incontri che non sono mai casuali o insignificanti. E sarà una semplice Ave Maria, recitata da don Bosco insieme al suo piccolo ‘amico’, Bartolomeo Garelli, in quel lontano 8 dicembre 1841, a dare inizio all’oratorio salesiano.
L’oratorio: una casa che accoglie ed evangelizza, ‘una scuola di comunione’, uno spazio sereno, creativo e gratificante che educa e prepara alla vita. Ed è proprio nella chiesa di san Francesco d’Assisi a Torino che i due s’intrattengono in un dialogo a cuore a cuore, in “uno stile evangelico coniugato salesianamente” e in un’ atmosfera di “familiarità”, di confidenza e di affettuosa attenzione.
Dietro il “si” di un ragazzo demotivato ma pieno di risorse e che don Bosco riesce a far sorridere, c’è la stima incondizionata di un educatore in grado di conquistare la sua fiducia, facendo leva su uno dei suoi talenti, saper fischiare. E’ lo stile del sistema preventivo, che con la sua formula vincente, suscita nel giovane interesse ed entusiasmo, promuove la sua autostima, punta sul valore della sua persona in quanto portatrice di risorse e competenze e genera nella sua vita ottimismo e allegria.
Ma dietro la mano di Dio che guida i passi di don Bosco, c’è sempre Lei, l’Immacolata Concezione, Lei la Madre e la Maestra (che) per noi ha fatto tutto”, Lei che è all’inizio della nostra vocazione, Lei l’Immacolata Ausiliatrice, una presenza viva, materna e potente nell’Istituto, Lei la Madre di Gesù e della Chiesa che sostiene i suoi figli bisognosi di amore e protezione.
E’ Lei che spalanca i grandi orizzonti “che vanno oltre le nostre programmazioni e oltre le nostre fatiche individuali”.
E’ Lei, “la Donna missionaria per eccellenza” che esce per portare il messaggio della speranza e della gioia, che c’invita ad andare verso le periferie dello spirito, per incontrarci con la crisi dei valori che tiene prigionieri tanti giovani. Che ci chiede gesti di amore e di tenerezza verso quanti hanno smarrito il senso della vita.
“Dimorando nelle periferie con lo sguardo di Maria – dice la Madre – tocchiamo la vita e le persone, diventiamo donne capaci di sanare ferite, di costruire ponti, di aiutarci a portare i pesi gli uni degli altri (cf Gal 6,2). Costruiamo comunità che si lasciano evangelizzare e, con misericordia e speranza, in uno stile creativo e flessibile, sanno narrare il vangelo, accompagnando i giovani all’incontro con Gesù.
Questa esperienza rende capaci di coinvolgere tante persone, particolarmente i giovani, per edificare insieme una società come casa per tutti (cf Strumento di lavoro, n. 24).